Diaframma e ciò che resta del rock

by

Pubblicato qualche giorno fa sul Riformista
di Nicola Lagioia

Qualche settimana fa ho avuto la fortuna di condividere lo stesso palco con Federico Fiumani, cantante, chitarrista e anima dei Diaframma, uno dei pochi gruppi rock degni di questo nome nati in Italia negli ultimi trent’anni. Il luogo era il torinese Circolo dei Lettori, e l’occasione una rassegna ideata per far convivere letteratura e musica tra gli stucchi dell’austero palazzo Granieri della Roccia. Un contesto lontano da teatritenda, centri sociali e altri spazi d’elezione per la musica alternativa. E tuttavia, quando ho visto Fiumani imbracciare la chitarra e poi lanciarsi nei classici del repertorio come Verde, Siberia, Caldo, L’Amore segue i passi di un cane vagabondo davanti a un pubblico che più eterogeneo non poteva essere (tra fan accorsi dai paesi circostanti, studenti di creative writing nati dopo la new wave, signore impellicciate che ignoravano anche il nome di Ian Curtis), suscitando tra gli astanti non l’entusiastica e in fn dei conti vuota compiacenza che circonda i Dinosauri della musica leggera ma sentimenti più difficilmente gestibili quali stupore, perplessità, fastidio, commozione, spiazzamento, amore… è stato allora che ho pensato: «ecco, dov’era andata a nascondersi per tutto questo tempo…» Mi riferivo alla musica rock.

E ora, un po’ di storia. I Diaframma sono stati un gruppo seminale. Senza di loro, molti protagonisti delle successive stagioni musicali quali Baustelle, Marlene Kuntz, Cristina Donà, Luci della centrale elettrica, Zen Circus non avrebbero inciso le loro tracce su un cd come hanno fatto. È un’eredità riconosciuta da questi stessi musicisti, che spesso suonano le cover dei Diaframma durante i loro concerti, e che ai Diaframma hanno dedicato un disco tributo, dove a reinterpretare i classici di Fiumani è stata chiamata anche la scrittrice Elena Stancanelli, che con lui condivide la città di nascita: Firenze.
I Diaframma arrivano sulla scena nella prima metà degli anni Ottanta, e secondo l’opinione di chi scrive sono stati uno dei tre fenomeni dell’epoca a superare senza problemi il complesso d’inferiorità che il nostro Paese soffre tradizionalmente rispetto alla musica rock. Per una formidabile alchimia di talento e caso, tra il 1984 e il 1985 escono in Italia tre dischi che non hanno nulla da invidiare agli omolghi d’oltremanica o oltreoceano:
Siberia, il primo album dei Diaframma, è appunto dell’84, e precede di un anno Desaparecido dei Litfiba e Affinità e divergenze tra il compagno Togliatti e noi dei CCCP. Tre album, tre gruppi musicali, una decina di talenti geniali (oltre a Fiumani ricordiamo Piero Pelù, Ghigo Renzulli, Gianni Maroccolo e l’indimenticato Ringo De Palma dei Litfiba, Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti dei CCCP), per un risultato inimmaginabile: finalmente una musica che non aveva nulla a che fare con le (neo)melodie di San Remo né con lo Strapaese di Claudio Villa né con il progressive di Franz Di Cioccio e nemmeno con il (pur bello) cantautorato di De Andrè. Analogamente a ciò che stava facendo in quel periodo la rivista «Frigidaire» per il fumetto, si trattava di codici estetici mai visti né ascoltati prima: il punk filosovietico di Ferretti&Zamboni, la sghemba new wave in salsa etno dei Litfiba, il miracoloso equilibrio di semplicità e struggimento dei Diaframma. Risultato: l’atto fondativo di un immaginario che si contrapponeva all’Italietta da bere di Craxi, dei paninari e del «Drive In», e diventava un’alternativa esistenziale per tanti ragazzi dell’epoca che si sarebbero poi detti “salvati dalla musica”.
A distanza di venticinque anni, di queste avventure rimane l’eredità (pezzi come Gira nel mio cerchio o Emilia paranoica fanno parte della nostra cultura musicale), ma di vivo e attivo e sudato sul palco resta solo Federico Fiumani. Cosa è successo? Mentre i Diaframma, protetti dalle tenebre dell’underground, hanno continuato il proprio percorso, Litfiba e CCCP (poi CSI, infine PGR) si sono infranti contro i capolinea più frequentati da un gruppo rock sul punto di morire: sputtanamento commerciale per i primi, eccesso d’intellettualismo e ideologia per i secondi.
Il gruppo di Renzulli e di Pelù ha scalato le classifiche nei Novanta proponendo una musica sempre più ruffiana, è naufragata poco prima del 2000 per trovare proprio negli ultimi mesi il perfetto correlativo oggettivo di questo epilogo: la canzone Il mio corpo che cambia usata nello spot di una nota marca di cereali. Per i CCCP la questione è più complessa: transitati nella sigla CSI con esiti ottimi, e in PGR nel 2001 con risultati appena buoni, la parabola artistica di Lindo Ferretti è implosa sotto la sua conversione al cattolicesimo. L’incontro tra cultura cristiana e rock può dare esiti notevolissimi come dimostra l’esperienza di Nick Cave. Ma quando al sentiero tortuoso di un rapporto tormentato con la religione (Faulkner e Melville e Simone Weil insegnano) si preferiscono i rettilinei dell’inginocchiamento senza se e senza ma di fronte all’attuale Curia Romana, il fallimento artistico è assicurato. Lo dimostra il recente apprezzamento per Ferretti di un intellettuale modesto come Camillo Langone: se ti incensa lui, significa che sei finito.
Federico Fiumani non è caduto in queste trappole. Fa un centinaio di concerti l’anno e mantiene un seguito di fedelissimi; autoproducendosi i dischi, sfruttando le major a fini distributivi e usando l’incubo dei colossi discografici (la Rete) per vendere on line la propria musica è oggi più ricco, più libero e probabilmente anche più giovane di allora. Le sue canzoni hanno mantenuto freschezza e semplicità, hanno avuto cioè l’ambizione di non cadere nella pretenziosità. Ma in fin dei conti… mentre negli ultimi vent’anni un simulacro scadente del rock ha riempito gli stadi e gli schermi televisivi (basti pensare all’entertainment spielberghiano degli U2 o a come MTV ha vampirizzato tanta musica alternativa) o ha offerto il peggio inchinandosi alla mai del tutto assimilata “cultura alta” (Lou Reed che prova sgraziatamente a rileggere Edgar Poe), lo spirito più autentico di questo genere musicale – energia, alternativa, messa in gioco esistenziale di musicisti e pubblico – ha seguito i passi di quelli come Fiumani.
Ai tempi di youtube e della fine del disco, è impossibile sapere quali saranno le migliori esperienze musicali del XXI secolo. Di certo non verranno da fallimenti creativi come X Factor. Più probabile pensare che i nostri tempi siano una sorta di aggiornamento tecnonologico di quelli di Robert Johnson, l’oscuro musicista del Delta del Mississippi che scoprì il blues (e dunque tracciò il solco di mezza musica del Novecento) mentre il mondo celebrava gli ultimi eredi di Raffaele Sacco. Insomma, il nuovo verrà ancora da ciò adesso sfugge al mainstream, come dimostra una giovane e vitale e consigliata rivista quale è «Suole di vento», che all’argomento dedicherà il suo prossimo numero monografico.
Intanto, un eroe italiano di questo mondo sotterraneo, continua il proprio never endig tour – Federico Fiumani e i Diaframma sono in arrivo nella tua città: in concerto il 12 dicembre a Pisa, il 19 a Seregno, il 23 a Santarcangelo di Romagna, il 26 a La Spezia…

Tag: , , , , , , , , , , , ,

5 Risposte to “Diaframma e ciò che resta del rock”

  1. peppe stamegna Says:

    meno male qualcuno che parli dei diaframma in termini di attualità!
    complimenti.

  2. Marco Barattistuta Says:

    Ero presente a Torino al Circolo e ho apprezzato le tue letture oltre al confidenziale di Federico .. splendido questo articolo .. te lo dice uno che ha ascoltato un mare di musica anche live negli ultimi 30 anni .. uno che ha seguito negli anni ’80 i Diaframma di Sassolini e i Litfiba di Maroccolo e che con l’addio di Gianni aveva intuito quanto tu ora scrivi ..ne scrisse in una recensione su Mucchio prendendosi le invettive dei manager dei Litfiba che fino ad allora facevano gli “amici” … anche per questo mi passò la voglia di scrivere di musica … meglio viverla sotto i palchi .. nel pogo .. nel sudore .. meglio seguire gli ultimi animali da palco in via di estinzione come Fede.. quando suona , se uscito dall’ufficio riesco a raggiungere il palco sono là dove va in scena il mio spettacolo preferito sotto i palchi di Diaframma, Radiodervish, Neon, Maroccolo, Chimenti, Rondelli, Sranglers, Wayne Hussey, Sad Lovers & Giants.. ho bisogno di essere vicino al palco .. all’artista .. di vederne le smorfie … questo per me è il rock .. voglio che ogni mio giorno sia ogni giorno diverso . Lunga vita ai Diaframma! DIAFRAMMA ULTRAS ovunque a sostegno di un Fede!

  3. Laura Says:

    anch’io come Marco ero presente a Torino, per ascoltare Nicola , mentre non conoscevo Federico.Ho provato una serata di emozoni di inquitudine, che hanno lasciato una scia.
    Ed è proprio come dici tu.Ero insieme a un’amica di gusti più ‘classici’,che non ha apprezzato,ed l’ho vista sconcertata.
    Io invece son rimasta turbata,ed emozionata,una serata che mi è rimasta dentro.

  4. Laura Says:

    (chiedo scusa per gli errori di battitura, e….mi viene troppo da ridere alle signore impellicciate torinesi ‘inorridite’da quella musica satanica!)

  5. corrado Says:

    non ho parole: le mie sono state già utilizzate per questo articolo…

Lascia un commento