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Berluspinning. Il premier come trainer #2

ottobre 5, 2009

di Giorgio Vasta

Deduzioni e teorie
È evidente che l’ecosistema attraverso il quale il gruppo di spinner si sta muovendo non aderisce a regole biologiche, discendendo piuttosto dall’apparato retorico di immagini cosiddette suggestive e pittoresche che è patrimonio di ogni trainer di calibro.
Tutto questo ci porta nel cuore del fenomeno spinning.
Lo spinning è essenzialmente un’attività che pone come condizione centrale – come patto ineludibile, potremmo dire, e oseremo spingerci fino a parlare di contrattola dissimulazione del dato di realtà. O, meglio, una interpretazione dissimulatrice del dato di realtà.
Nei trenta minuti trascorsi ancorato alla cyclette, accartocciato e rantolante, con la spina dorsale che crepitava e la muscolatura striata che dissolveva in fiocchi di cotone, io ero di fatto chiuso all’interno di un seminterrato. Sentivo caldo, sentivo puzza. Intorno a me c’erano altre dieci persone che si accanivano sui pedali e sul manubrio modificando l’impugnatura e la frequenza della pedalata, risollevando le spalle a un segnale del trainer o riaccoccolandosi a conchiglia quando si doveva scendere in picchiata lungo una forte pendenza.
Ora, io dico «scendere in picchiata», dico «forte pendenza», e nel dirlo visualizzo le condizioni orografiche che il trainer evocava man mano, ma se vengo fuori dall’incantamento e mi concentro bene sono certo che non c’era niente di tutto ciò. Ero chiuso in un seminterrato insieme ad altre dieci persone sudate e stanche come me, intorno a noi solo specchi appannati, la musica a tutto volume nelle orecchie che passava da una frequenza all’altra, la puzza stretta nel naso, il cuore che batte a casaccio, un senso di collasso incipiente, in via San Massimo 40d, a Torino, tempo fa.
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