Posts Tagged ‘rubrica di scrittura’

Seminario sui luoghi comuni

febbraio 23, 2010

7. Pettegolezzi

di Francesco Pacifico

Knut Hamsun è l’autore di Fame, scrive di vagabondaggi rigorosi, un po’ mistici, deliranti, autistici. In quanto tale può prestarsi al solito fraintendimento: io aspirante scrittore copierò il suo delirio senza assicurarmi che la mia vita sia passata per le stesse forche caudine e che la mia penna se lo possa permettere.
Ciò che tiene in piedi uno come Hamsun, però, non è il cuore del suo delirio, ma le cento cose che sistema tutto attorno a quel delirio e che ne condividono l’anima e non l’aspetto. Nel brano che segue, tratto da Un vagabondo suona in sordina, al protagonista non accade nulla di rilevante: si limita a spettegolare dell’ingegner Lassen e della di lui cugina, la signora Falkenberg: qualcuno in città si è fatto un’idea dello stato dei loro rapporti. Sembravano tanto intimi e invece ora quasi non parlano più.
È una piccola città, e i suoi abitanti, per il solo fatto di scambiarsi pettegolezzi su quei due li costringono ad allontanarsi. Il miracolo è come Hamsun permetta ad alcuni dei suoi personaggi di documentare un allontanamento fra altri due personaggi di cui i primi sono in qualche modo responsabili per via dei pettegolezzi stessi.
Questo miracolo narrativo avviene senza alcun clamore. Il narratore ricostruisce le vicende della strana coppia con un commesso viaggiatore vicino di stanza dell’ingegnere. Vi unisce ciò che ha notato dei due vedendoli passeggiare sul ponte. L’ultimo paragrafo, infine, è composto di pure illazioni. E per tutte e due le pagine ha definito alla perfezione cosa possono e non possono due innamorati, tecnicamente, in una piccola città: «…la città era tanto piccola e la cugina era una forestiera, non poteva farle in continuazione da cavaliere, dovevano mettere un po’ di distanza tra di loro, ogni tanto – solo qualche rara volta, capisci? – dovevano forse mangiare a orari diversi al tavolo dell’albergo».
Ancora più apprezzabile è l’assenza di clamore se si considera che il narratore desidera la signora Falkenberg.
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Seminario sui luoghi comuni

gennaio 26, 2010

3. Idiosincrasie di un protagonista

di Francesco Pacifico

Pnin è il protagonista per eccellenza. Ha un romanzo che porta il suo nome, e l’autore, Vladimir Nabokov, è talmente sicuro di avere tra le mani un personaggio irresistibile, che con malizia tipicamente nabokoviana, nel descrivere alcune caratteristiche di Pnin, le definisce «tipicamente pniniane».
Pnin è un emigré russo che insegna in America. È tondeggiante, di buon carattere, apprensivo, metodico, pedante. I personaggi universali non esistono. Esistono solo dei miscugli improbabili fra il vostro compagno di banco e Čičikov delle Anime morte di Gogol. Tutti i grandi personaggi sono inattuali perché si arriva al loro cuore per vie traverse. Il «precario» non esiste. Lo «sfortunato» non esiste. In questo paragrafo di Nabokov compaiono insieme diverse cose: gli entusiasmi di Pnin, le sue fissazioni, ciò che aveva in comune con la gran parte dei russi (i «trucchetti insulsi»). E Nabokov usa un trucchetto insulso anche lui, da buon russo: prende le distanze da un luogo comune – il professore tedesco distratto, solo per approfittarne, per cominciare ad avvicinarsi al bersaglio. Come per un eccitante strabismo, le cose migliori non sono quelle forzatamente originali, che sono luoghi comuni rovesciati, ma sono quelle cose che stanno a un passo dai luoghi comuni e ne sfruttano l’aura senza farsi sopraffare.
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Seminario sui luoghi comuni

gennaio 19, 2010

2. Compassione per la comparsa

di Francesco Pacifico

Visto che siete presi a catalogare i tipi umani che girano per il corso e con gran zelo rimanete accampati in piazza da una settimana con penna e quaderno, oppongo al primo brano un secondo brano molto meno impegnativo (meno lungo): la breve impietosa descrizione di una donna che è ormai «l’ombra matta dei vecchi tempi» e che se ha perso lo smalto, è deperita, sta invecchiando, prova comunque sempre a mettere in piedi la baracconata dell’affascinare, con inevitabili modesti risultati. Il racconto è «I blue jeans non si addicono al signor Prufrock», di Alberto Arbasino, contenuto in Le piccole Vacanze.
Con molto più smalto della Clara, Arbasino riesce a far sembrare condanna e assoluzione la stessa identica cosa, a essere crudele e allo stesso tempo pietoso, a suscitare la tanto agognata empatia senza darlo a vedere; anzi, direi, lo fa in una maniera tale che se qualcuno glielo andrà a dire lui potrà negare di averlo fatto.
Nella sua versione dandy delle scoperte del Budda, l’orizzonte livellante di vecchiaia, malattia e morte si riassume in questa perfezione da cantautore: «… invecchia anche lei, o forse non sta bene».
Adesso, secondo il nostro piano, dovreste prendere una persona che non vi piace e applicarle questo trattamento. O, più perversamente, prendere una che vi piace, e cercare in lei i segni del passare del tempo, i segni dello smalto perduto. (Dopo non glielo andate a dire)
Notare che i tocchi sono pochissimi: due aggettivi semplici come «magra» e «deperita», una storiella raccontata male, la semplicità di un gelo creato fra amici. Il centro del paragrafo mi pare appunto questa consegna da parte del gruppo alle autorità del successo: la poveretta rimane sola, e la sensazione è così forte e nota per quasi chiunque, che non servirebbe aggiungere una montagna di dettagli. Si conclude con il tradimento ideale da parte del protagonista: «…ma io ho fatto finta di non capire. Faceva meglio a stare a casa».

Da Piccole Vacanze
di
Alberto Arbasino

(al bar…)

È venuta una volta la Clara, che magra, oggi ancora più deperita di prima, invecchia anche lei, o forse non sta bene. A corto d’argomenti, è l’ombra della matta dei tempi belli, anche se cerca disperatamente di tener su il morale a sé e agli altri. Ma fa compassione. Non ha trovato di meglio che raccontarci la storiella di un cassiere di banca, che dovendo contare un pacco di soldi a una bellissima bionda le fa: «sessantasei, sessantasette, sessantotto, almeno, settanta…» ma ha ammesso subito che è debole, visto che si rideva poco. Mi guardava spesso, in macchina ha tentato di venirmi vicina, ma io ho finto di non capire. Faceva meglio a stare a casa.

Leggi la precedente puntata di Seminario sui luoghi comuni
1. Il viale per lo struscio