7. Pettegolezzi
Knut Hamsun è l’autore di Fame, scrive di vagabondaggi rigorosi, un po’ mistici, deliranti, autistici. In quanto tale può prestarsi al solito fraintendimento: io aspirante scrittore copierò il suo delirio senza assicurarmi che la mia vita sia passata per le stesse forche caudine e che la mia penna se lo possa permettere.
Ciò che tiene in piedi uno come Hamsun, però, non è il cuore del suo delirio, ma le cento cose che sistema tutto attorno a quel delirio e che ne condividono l’anima e non l’aspetto. Nel brano che segue, tratto da Un vagabondo suona in sordina, al protagonista non accade nulla di rilevante: si limita a spettegolare dell’ingegner Lassen e della di lui cugina, la signora Falkenberg: qualcuno in città si è fatto un’idea dello stato dei loro rapporti. Sembravano tanto intimi e invece ora quasi non parlano più.
È una piccola città, e i suoi abitanti, per il solo fatto di scambiarsi pettegolezzi su quei due li costringono ad allontanarsi. Il miracolo è come Hamsun permetta ad alcuni dei suoi personaggi di documentare un allontanamento fra altri due personaggi di cui i primi sono in qualche modo responsabili per via dei pettegolezzi stessi.
Questo miracolo narrativo avviene senza alcun clamore. Il narratore ricostruisce le vicende della strana coppia con un commesso viaggiatore vicino di stanza dell’ingegnere. Vi unisce ciò che ha notato dei due vedendoli passeggiare sul ponte. L’ultimo paragrafo, infine, è composto di pure illazioni. E per tutte e due le pagine ha definito alla perfezione cosa possono e non possono due innamorati, tecnicamente, in una piccola città: «…la città era tanto piccola e la cugina era una forestiera, non poteva farle in continuazione da cavaliere, dovevano mettere un po’ di distanza tra di loro, ogni tanto – solo qualche rara volta, capisci? – dovevano forse mangiare a orari diversi al tavolo dell’albergo».
Ancora più apprezzabile è l’assenza di clamore se si considera che il narratore desidera la signora Falkenberg.
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